Aiuti 4.0, usati 6,7 miliardi Pnrr ma solo la metà va all’industria

I dati della Corte dei Conti. La quota del manifatturiero scende al 30% per numero d’imprese beneficiarie dei crediti di imposta sui macchinari avanzati. In tutto finora sono 121mila le aziende coinvolte.

Il Pnrr può essere il bivio del piano di incentivi all’innovazione digitale delle imprese. Con la revisione in corso, e l’integrazione del capitolo RePowerEu, il governo prepara uno spostamento delle agevolazioni 4.0 verso obiettivi di sostenibilità energetica e progetti che riguardino almeno intere linee di produzione. E forse, a guardare i dati elaborati dalla Corte dei conti su numero e distribuzione dei beneficiari negli ultimi due anni, di un ripensamento c’è davvero bisogno.

La manifattura, pur essendo il primo comparto di riferimento, sembra avere assorbito poco rispetto se si considera che il piano era nato nel 2016 con il nome di Industria 4.0. Nei primi anni l’industria ha rinnovato a ritmo spedito il parco macchine, con relativa interconnessione digitale, ma ora sembra emergere un rallentamento, la spinta propulsiva del programma si va affievolendo. Al tempo stesso – è l’altro dato che spicca – il Mezzogiorno è vistosamente indietro, sia per numero di imprese agevolate sia per entità dei crediti di imposta maturati.

Il Pnrr ha assegnato ai cinque crediti di imposta 4.0 un totale di 13,4 miliardi (di cui 3,1 per coprire misure già in vigore) cui si aggiungono 5 miliardi del Fondo nazionale complementare. Nel suo ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti ha stilato un bilancio provvisorio con dati del ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) e sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate tra il 2021 e il 2022. I crediti maturati complessivamente ammontano a 6,7 miliardi, con una quota nettamente preponderante (81%, pari a 5,4 miliardi) di investimenti in beni strumentali materiali 4.0, seguiti dalla formazione 4.0 (617 milioni), dalla ricerca, sviluppo e innovazione (560 milioni) e da piccole porzioni di beni strumentali immateriali (i software): 79 milioni quelli più avanzati e 10 milioni quelli tradizionali.

Il presunto avanzo di risorse che era stato paventato dal Mimit qualche mese fa (si era parlato di 3 miliardi) non c’è stato e i target complessivi fissati nel Pnrr, relativi al numero di beneficiari, sono stati raggiunti e superati in anticipo, con 120.698 soggetti rispetto alle 111.700 imprese attese per il secondo trimestre del 2025. Ma se si scende nel dettaglio, si nota che qualcosa non ha funzionato sui crediti di imposta per i software 4.0 e su quelli per la ricerca, sviluppo e innovazione, due categorie che sono sotto soglia. Più in generale, emerge che nella voce più utilizzata, cioè gli incentivi per i macchinari 4.0, solo il 30% dei beneficiari appartiene ai settori manifatturieri, quota che scende al 27% per le attività di formazione 4.0. Percentuali più alte, rispettivamente del 52% e del 59%, emergono per i software 4.0 e per la ricerca. Nei macchinari 4.0 hanno una quota significativa commercio (20%), agricoltura (14%) e costruzioni (12%), davanti a servizi di alloggio e ristorazione (5%).

Il peso del manifatturiero sale se si guarda l’entità del credito maturato, a testimonianza che rispetto ad altri comparti gli investimenti medi sono di taglia superiore, ma vale comunque poco più della metà: 55% sui macchinari 4.0, mentre il commercio in questo caso scende al 9%. L’analisi della Corte dei conti sembra fare affiorare la necessità di una riflessione generale sui risultati del piano in termini di trasformazione dell’industria. Il Pnrr richiede la pubblicazione di due rapporti (a fine 2024 e a giugno 2026) sulla valutazione dell’impatto su occupazione e Pil, ma nel frattempo l’impostazione potrebbe già essere rivista. Tenendo magari anche in debita considerazione la fatica che stanno facendo a salire su questo treno le imprese del Sud, che sia per numero di beneficiari sia per credito maturato rappresentano al massimo il 22% del totale (si scende all’8-9% per gli incentivi sui software di base), mentre il Nord è quasi al 65% e il Centro è attorno al 15%.

Per una nuova stagione dei crediti di imposta, collegando digitalizzazione e transizione energetica, il ministero delle Imprese e del made in Italy ha giù fatto suo lo slogan “Industria 5.0” e su questo specifico tema continua a ricevere contributi anche da esperti esterni. La Fondazione M&M-Idee per un Paese migliore, ad esempio, ha trasmesso al governo la proposta di un “Investment compact” che punti su una maggiore valorizzazione dei beni immateriali e su un nuovo incentivo mirato alle aziende più strutturate che trasformano i processi produttivi secondo i criteri Esg (environmental, social and governance).

Fonte: Il sole 24 ore